Rappresentato per la prima volta nel 2015, un anno prima della dell’apertura del Centro Teatrale Fabbricateatro, lo spettacolo è stato ripreso nel 2024, con alcune modifiche rilevanti nella drammaturgia.
Sul perché della scelta del testo rimandiamo alle note di regia del nostro Elio Gimbo, adattatore del testo leopardiano.
Discorso sullo stato presente dei costumi degli italiani è un’opera minore di Giacomo Leopardi, è un trattatello del ’24 proto-sociologico dove un Leopardi ventiseienne esercita una prosa straordinaria per scorrevolezza e sottile umorismo, sui comportamenti – pubblici e privati – diffusi nella società italiana; poche decine di pagine date alle stampe tardivamente, nel 1906.
Si è presi da vertigine, perché quell’assenza di spirito pubblico che balzava all’occhio del giovane poeta, decenni prima dell’unità d’Italia, è la medesima che ipoteca il nostro presente. Più che i vizi antichi d’un popolo in difetto di legame sociale, è infatti il vuoto di comportamenti improntati ad un’etica condivisa, il vero oggetto della riflessione di Leopardi. Ai suoi occhi gli italiani vivono una profonda contraddizione: da un lato, grazie al loro cinismo, manifestano un primato di modernità nell’aver individuato per primi l’«infinita vanità del tutto»; ma da questa superiorità iniziale ne discende una pesante inferiorità sotto forma di maggiore immoralità.
Leopardi non parla mai di popolo ma di cittadini e di società civile. La conseguenza di ciò è l’abbinamento automatico fra popolo e principi fondamentali: scomparsi questi, per opera dei Lumi, è scomparso anche il popolo.
Eppure, in questo stesso saggio, come ne La ginestra, affiora sempre la speranza che un’etica possa prima o poi riaffermarsi nella società italiana, magari mossa da un autentico processo popolare.
Leopardi traccia un quadro desolato dell’Italia e dei suoi abitanti: troppo disincantati per nutrire illusioni, ma troppo poco civili per farsi guidare dal senso civico, dal dovere, dalla morale; ridotti a custodire un passato glorioso ma nel presente privi di qualsiasi vitalità. La causa viene individuata nella mancanza egoistica di una condivisione di tradizioni, di intenti, di costumi, di mentalità e di memoria condivisa.
È qui che il “trattatello” leopardiano riacquista interesse nel vigore immutato del suo stile, nella descrizione della mancata formazione di una “società stretta”, di una “élite” in seno alla borghesia italiana; così proprio grazie all’anti-teatralità del linguaggio e della struttura possiamo liberarci da ogni vincolo di fedeltà, e il testo diviene il punto di partenza per condensare sulla scena alcune visioni personali.
Queste visioni si materializzano attraverso una dialettica tra femminile e maschile; dappertutto ci sono uomini che provano paura per qualcosa insieme ad un disperato bisogno di aiuto, questi uomini non posseggono nemmeno le parole per descrivere la propria infelicità; e poi ci sono donne che, proprio perché conoscono le parole adatte, vorrebbero essere utili al prossimo a patto di riceverne una disponibilità al cambiamento, alla maturazione, alla consapevolezza; entrambe le posizioni hanno come sfondo un senso d’incertezza che spesso si trasforma in crudeltà da parte dei primi. Da questo spaesamento maschile, da questa fragilità violenta parte l’azione teatrale del nostro spettacolo Discorso su noi italiani.
Ma uno spettacolo non ha mai una sola faccia, una sola direzione; uno spettacolo è, per così dire, un “rituale vuoto” che ogni singolo spettatore può riempire con la propria vita; in questo caso ho assolto anche all’esigenza di un omaggio verso gli insegnamenti ricevuti dai maestri del mio pantheon: da Mejerchol’d, da cui ho appreso come la partitura fisica degli attori non debba per forza coincidere col testo, a Grotowski, che illumina lo spettacolo con i suoi principi del “teatro povero”. Sopra a tutti, in occasione dei sessanta anni dell’Odin Teatret, c’è la irripetibile figura di Eugenio Barba.
Eccola qua la “piccola tradizione” a cui Fabbricateatro sente di appartenere; per vie imperscrutabili da essi discende ciò che siamo e tutto ciò che il teatro è per noi.
Del cast originario dell’edizione 2015 rimane nostra attrice storica Sabrina Tellico; la novità rilevante dell’edizione 2024 sta nell’impiego dei giovani Filippo Gravina e Leonardo che avendo frequentato il laboratorio del CUT nel 2023 e nel 2024, hanno conseguito una rigorosa formazione che ha consentito di portare sulla scena i principi essenziali della nostra “poetica”.